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Alla ricerca del Cocomero e della Pergola. Ciò che rimane del Teatro all’Italiana della Firenze del Settecento Firenze tra Medici e Lorena. Quando il 31 ottobre 1737, l’Elettrice Palatina Anna Maria Luisa, sorella dell’ultimo Granduca de’ Medici, Gian Gastone, firmò con il nuovo principe Francesco Stefano di Lorena, il “Patto di famiglia” con cui assegnava l’inestimabile tesoro “di tutte le gioie che si troveranno nella di lei eredità” affinché “in perpetuo conservarsi in questa Città di Firenze, insieme con tutte le statue, pitture, medaglie et altre rarità singolari”1, forse non si rendeva conto che con quell’atto essa si ritagliava l’inestinguibile titolo di ponte culturale tra la granducale famiglia fiorentina e la regale casa d’Austria, capace di garantire continuità al doloroso passaggio, dalla fine dell’indipendenza e dell’autonomia del principato fiorentino, alla presa di potere e al dominio di una delle più grandi potenze europee. Il grande dibattito che sconvolse quegli anni riguardò soprattutto la principale questione della “libertà fiorentina” che, da vantata resistenza ad ogni tipo di subordinazione, fu sostituita con il ripristino dei lustri del passato, con la glorificazione del genio etrusco, con la fama della stagione della Repubblica, e con l’esaltazione del primato linguistico guadagnato nei secoli. Una nuova visione dunque, che fu accreditata dalla ristampa di testi storici come il De Etruria regali o le Storie del Varchi e del Nerli; dalla pubblicazione della quarta edizione del Vocabolario della Crusca; dall’apertura all’Università di Pisa di un insegnamento di Diritto delle Genti.2 Era stata, quella dell’epoca medicea, una libertà che il
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